Per nove mesi i neonati vivono nel grembo materno e ce ne vogliono altrettanti all’incirca, affinché il piccolo inizi ad avventurarsi da solo nel mondo esterno. E proprio in questi nove mesi un bimbo portato è più contento, indipendente, sicuro e si stacca facilmente dalla madre. Un scuola di pensiero decisamente contraria a quanto si è sempre pensato in Occidente, dove tenere un bimbo in braccio è sempre stato sinonimo di “mammone viziato”. Eppure se si fa un passo indietro nella storia dell’uomo, ci si rende conto che la prerogativa di portare con sé i propri piccoli, non è ad uso esclusivo della specie umana. Il cosiddetto babywearing o semplicemente “portare” è una pratica che si perde nella notte dei tempi. Le donne non smettevano di lavorare quando diventavano madri e dovevano accudire ed allattare i bimbi tenendoli con sé. Così a seconda del tipo di clima o lavoro svolto venivano utilizzate sciarpe, scialli, reti o sacche. Solo in seguito sono state inventate culle, carrozzine (la prima è stata realizzata nel 1880) e passeggini e sono cambiate anche le teorie pedagogiche ed è scomparsa l’abitudine del portare legata all’avvento dell’industrializzazione. In quel periodo le mamme hanno iniziato a lavorare fuori casa e non è stato più possibile portare con sé i piccoli, anche se nei due terzi del mondo, questo avviene ancora. Come in Perù con il Manta, una coperta quadrata o il tahitiano Pareo, un rettangolo di cotone colorato usato come gonna intorno al corpo, o il sud asiatico Sari, o il ricercato cinese Mei Tai, una specie di zainetto di stoffa leggero, o il coreano Podaegi, una coperta con strisce e cinghie, che porta il bimbo dietro. In realtà, portare il cucciolo d’uomo è un’esperienza che garantisce armonia tra il punto di vista filogenetico, neurofisiologico e psicologico. La filogenetica, la scienza che studia il processo evolutivo di qualsiasi forma di vita sulla terra, distingue i cuccioli di mammiferi in tre grandi classi: nidiacei, sono in genere i carnivori domestici, caratterizzati da una breve gestazione e prole numerosa, che hanno come habitat il nido-tana; nidifughi, sono erbivori (cavalli, elefanti ecc.) nati da lunga gestazione e che danno vita al massimo a due cuccioli e vivono nello stesso habitat naturale del genitore e, infine, i portati passivi (marsupiali) come i canguri e attivi (scimmie, koala), che partecipano aggrappandosi alla pelliccia materna ed il loro habitat è il corpo della madre. E l’uomo in quale si inserisce? L’evoluzione ha portato alla scomparsa della peluria e degli artigli e già solo questo dimostra che la nostra specie fa parte dei portatori attivi. Pensiamo all’abitudine dei piccoli di stringere i pugni, un comportamento ereditato nei millenni e che ancora adesso, nonostante la scomparsa della pelliccia, serve ad aggrapparsi alla madre. La memoria filogenetica si riflette anche osservando le gambe dei neonati, sempre flesse in posizione divaricata-seduta. Un atteggiamento funzionale alla posizione che assumono quando vengono fatti aderire al corpo della madre per essere portati, per soddisfare un bisogno primordiale presente nella memoria cellulare. Allora perché portare? Lo spiega Manuela Tarditi, psicologa e psicoterapeuta e consulente della Scuola del Portare “Gli studi della Cangaroo Mother Care dimostrano quanto “il portare” sia efficace ed importante per i prematuri. Ma anche i nati a termine sono immaturi, perché rispetto ad ogni altro mammifero continuano a dipendere totalmente dalla cura dei genitori. Questa immaturità neurologica e fisica implica, secondo un’ipotesi, che la gestazione non sia completa e debba completarsi al di fuori del grembo, sotto forma di gestazione extrauterina e coincida all’incirca quando il cucciolo di uomo inizia a gattonare. “Portare i bambini” è un periodo importante di transizione dall’utero all’autonomia, che renderebbe meno brusco il passaggio di adattamento. E già in gravidanza, le future mamme possono prendere confidenza con le fasce per “portare il pancione”. Un aiuto pratico per contrastare i tipici fastidi posturali della gravidanza e servirà a prendere contatto e confidenza con la stessa che sarà utilizzata con il bimbo una volta nato. E in qualche modo il tessuto sarà impregnato dall’odore della mamma, che sarà riconosciuto dal bebè portato nella fascia colorata. Quindi, quali sono i buoni motivi “per portare” e soprattutto, quali sono le regole da rispettare? Sono almeno 10 i motivi: è comodo per i genitori e il bambino, rispetta la sua fisiologia, risponde ai bisogni primari del piccolo, crea un continuum tra vita intra ed extrauterina, è scritto nel nostro DNA, favorisce lo sviluppo psico-motorio, relazionale e sociale, favorisce il processo di attaccamento, serve a far provare anche ai papà le emozioni della pancia, a capire che coccolare non è viziare ed è uno strumento in più per comunicare con i bambini. Per fare tutto questo, ci sono alcune regole d’oro da seguire, sempre consigliate dalla “Scuola del portare”. La fascia prima di tutto deve essere un supporto idoneo e con un buon tessuto ad armatura diagonale. In commercio ne esistono di molti tipi, ma è fondamentale che sia resistente, comoda e sia di qualità garantita conforme alle legislazioni vigenti. I supporti, a seconda dell’utilizzo, sono suddivisi su tre tipologie: 1) non strutturati che corrispondono a fasce in tessuto di misura variabile, fasce elastiche la cui misura standard è di circa 5,20 metri e tutti i supporti etnici e permettono di portare i bimbi da 0 a 3 anni in tutte e tre le posizioni, davanti, sul fianco e sulla schiena; è il supporto più versatile e comodo, anche se le fasce elastiche sono poco indicate, perchè il tessuto con il tempo tende a cedere e sono quindi adatte non oltre i primi mesi di vita; 2) supporti semi strutturati, in questa categoria vengono classificati tutti i supporti di origine asiatica come ring sling, mei tai (un quadrato di stoffa a cui vengono cucite due fasce e una cintura che assicurano il bambino al corpo del portatore); 3) i supporti strutturati come pouch (fascia tubolare cucita su misura per chi la indossa a tracolla), zaino, marsupio ergonomico, quest’ultimo presenta cinghie e fibbie, che sostituiscono le legature e lo rendono più pratico per chi ha difficoltà con le legature, ma ha lo svantaggio di essere più ingombrante e costoso, se si pensa che una fascia possa essere ripiegata comodamente in una borsa. Imparare ad utilizzare i supporti è semplice e alla portata di tutti, ma come consigliano gli esperti è importante: una legatura sicura, distribuire correttamente il peso del bimbo, proteggere la testa, cambiare la posizione in base al peso del bebè e delle esigenze di entrambi, vestirlo in base alla stagionalità, restare in ascolto del proprio corpo e del piccolo, ricordarsi di valutare l’equilibrio del proprio corpo, ma soprattutto usare il buon senso!
Notizie tratte dalla tesi di laurea del 2006 di Antonella Gennantiempo dal titolo “Dalla canguroterapia alla promozione del benessere” e dal sito della Scuola del Portare.
articolo di Alma Brunetto